Legge di stabilità 2018 - nascono le imprese culturali e creative

Sta arrivando la nuova qualifica giuridica per classificare questa categoria di imprese

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Parliamo delle imprese culturali e creative, ovvero di enti (società, ma anche associazioni, fondazioni, ecc.) che operano in un settore strategico per il nostro Paese.
Ad esse è oggi riconosciuto un credito d’imposta del 30% su alcune spese fondamentali[1].

L’importanza del settore

Secondi recenti dati[2], al sistema produttivo culturale e creativo[3] si deve il 6% della ricchezza prodotta in Italia: 89,9 miliardi di euro.
Dato in crescita dell’1,8% rispetto all’anno precedente. Calcolando gli effetti sul resto dell'economia si ha, invece, un effetto moltiplicatore pari a 1,8.

In altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,9 miliardi, quindi, ne stimolano altri 160 per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.

Al provvedimento, dunque, va il grande merito di aver cercato di catalizzare nuova attenzione su un driver economico e sociale così importante.
Sì perché la specificità di queste imprese sta proprio nella capacità di conciliare valore economico, valore culturale e valore sociale[4].
Un esempio, tra i tanti: quello delle catacombe di San Gennaro, a Napoli, nel Rione Sanità. Un’esperienza che ha saputo recuperare alla città, giovani a rischio di emarginazione sociale; ma anche un patrimonio culturale (un bene comune), a rischio di emarginazione culturale, e con il quale è stato possibile anche generare nuova ricchezza, incrementando esponenzialmente gli incassi.

Lo strumento tecnico ed i suoi rischi

Sta di fatto che la qualifica giuridica, a torto o a ragione, è sempre più spesso ritenuta lo strumento più idoneo:
per marcare, sul piano della competizione di mercato, la propria specialità, quantitativa e qualitativa;
per rivendicare fondi o agevolazioni altrettanto speciali, sul piano delle politiche pubbliche.
Eppure, lo strumento tecnico non è esente da rischi.

Si tratta di una sfida non facile, è bene dirlo. Innanzitutto, perché non tutto ciò che vale conta, e viceversa. In secondo luogo, perché una certa parte del mondo sociale, culturale ed anche imprenditoriale non è ancora pronto sul piano dell’accountability, preferendo rifugiarsi dietro un sepolcro imbiancato, come quello di un’etichetta giuridica, piuttosto che dietro la sostanza di una qualità effettivamente riconosciutagli.

Impareremo a valutare anche l’impatto sociale ed ambientale delle nostre azioni imprenditoriali. E sarà quella la nuova frontiera per una competizione positiva incentrata sulla massimizzazione del bene comune, e non più del solo lucro soggettivo.